Teatro

Alkan al Palazzetto Bru Zane

Alkan al Palazzetto Bru Zane

Il nome di Charles -Valentin Alkan (Parigi 1813-1888) poco o nulla dirà ai nostri lettori, salvo forse che non siano stati impegnati nello studio del pianoforte, oppure particolarmente interessati alla sua storia. Eppure Alkan ebbe un ruolo non certo marginale nella Parigi artistica del secolo XIX°, e ciò benché il suo interesse si rivolgesse quasi esclusivamente alla tastiera, negligendo la musica da camera e quella sinfonica. Proveniente da una famiglia ebraica, era figlio di un insegnante di musica, Alkan Morhange (1780-1855) ; al pari dei fratelli, anch’essi musicisti, volle adottare il primo nome del padre quale proprio cognome. Il piccolo Charles-Valentin si dimostrò un talento pianistico precocissimo e formidabile: ammesso al Conservatoire Royal a soli sei anni, a dodici pubblicava già  alcune proprie composizioni presso noti editori, a quindici iniziava ad insegnare solfeggio, raggiunti i diciotto anni si diplomava con menzione d’onore, intraprendendo subito una folgorante carriera di concertista. Le sue perfette esecuzioni al pianoforte destavano l’ammirazione degli spettatori, per la tecnica prodigiosa e la comunicativa che lo portava  a rivaleggiare con Lizst, Kalkbrenner e Thalberg, gli altri celebri pianisti-compositori di quegli anni. In seguito lo si ammirò anche per la singolare profondità interpretativa, che venne man mano conseguita nel progredire della carriera: un testimone autorevole come Vincent D’Indy, per esempio, conquistato dalla sua esecuzione della grande Sonata op. 110 di Beethoven commentava su una rivista « Non da dove iniziare nel descrivere ciò che è successo al grande poema beethoveniano - soprattutto durante l'Arioso e la Fuga, quando la melodia, addentrandosi nel mistero della morte, cresce fino a raggiungere un tripudio di luci… La sua esecuzione aveva una maggiore intimità ed era più umanamente commovente di quella di Liszt»
Quale compositore, come già detto, Charles-Valentin Alkan  aveva iniziato sin prestissimo a pubblicare i suoi lavori; proseguendo in tale direzione, tra il 1830 ed il 1850 – gli anni di Luigi Filippo – videro la luce numerose  altre sue composizioni pianistiche, generalmente caratterizzate da una grande difficoltà esecutiva: brani talora dal carattere squisitamente tecnico, altre volte indulgenti ad un accentuato intento descrittivo. L’uno e l’altro si fondono in una celebre creazione, il diabolico ‘Vivacissimamente’ che caratterizza “Le chemin de fer” del 1844, descrizione musicale di un treno lanciato a piena velocità. Una serie di lavori sempre in crescendo, che culmina nel 1848 con la pubblicazione della magistrale ‘Grande Sonate’ op. 33 «Le Quatre Âges», che intende raffigurare pittoricamente le quattro diverse età dell’uomo, e gli estroversi ‘Studi’ op. 35, dodici corposi  brani tutti in tonalità maggiore. Alkan fu anche ottimo organista e si interessò anche per questo vivamente alla novità del piano a pedaliera, nato come mezzo d’esercizio per organisti ma poi  divenuto strumento da concerto, dedicandovi alcune composizioni originali. Apprezzato docente di solfeggio al Conservatoire parigino, partecipò attivamente alla vita culturale della capitale godendo dell’amicizia di Hugo, Delacroix, Lamennais, Liszt, di Chopin e della Sand. Stanco però ad un certo punto della mondanità, e deluso nel 1848 dal rifiuto di una cattedra di pianoforte (!!!) presso il prestigioso istituto parigino, assunse  negli anni seguenti un atteggiamento riservato e misantropo. Gli anni del Secondo Impero lo videro per questo comparire  assai di rado sulle scene, mentre il suo maggior interesse veniva assorbito durante quel secondo periodo della sua vita, da un impeto di reviviscenza religiosa che lo spingeva all’approfondimento della Torah, dedicandosi allo studio della Bibbia e del Talmud. Fu per questo  che una memoria imprecisa tramandò a lungo che la sua morte fosse stata provocata da una libreria rovinatagli addosso mentre cercava un testo sacro; più banalmente, pare rimanesse schiacciato da uno di quei pesantissimi appendiabiti e porta ombrelli che s’usavano a quei tempi. La ricerca teologica non gli fece comunque trascurare la musica, se proprio in questo lungo periodo di ritiro trovò l’ispirazione per altri lavori ambiziosi e complessi, tra i quali emergono i monumentali ‘Studi’ op. 39 pubblicati nel 1857, stavolta tutti pensati in tonalità minore. Da molti ritenuti più ardui di quelli lisztiani, i dodici studi presentano al loro interno addirittura una “Sinfonia per piano” ed un Concerto per piano”, creazioni entrambe in quattro movimenti e della durata complessiva di un’ora; ma anche composizioni più brevi – si fa per dire - quali la “Ouverture” in tre movimenti, ed il sapido, graffiante “Le festin d’Ésope”, numeri 11 e 12 della raccolta. Altra pubblicazione di notevole interesse, le più tarde «Esquisses ou Quarante-huit motifs» op. 63 costituiscono una raccolta di composizioni del più vario carattere ed in tutte le tonalità che costituiscono una poetica ‘summa’ della sensibilità post-romantica, ed insieme una erudita rilettura critica della storia della tastiera da Couperin a Mendelssohn. Quanto al lato più tecnicistico della sua creatività, vale la pena di ricordare la sua ultima fatica - in un certo senso, il suo testamento spirituale - cioè i tre monumentali “Trois Grandes Études” op. 76: il primo per la sola mano sinistra, il secondo – il più laborioso, che prevede ben 20 minuti di esecuzione - per la sola mano destra, il terzo per le mani riunite.
Un suo parziale ed inatteso ritorno sulle scene avvenne a partire dal 1873, quando assunse l’impegno organizzare una serie di «Petits Concerts de musique classique» nella Salle Érard, eventi ai quali partecipava anche di persona presentando composizioni proprie e di altri autori. Ma il suo ruolo musicale, tramontata l’era che lo aveva visto protagonista,  era divenuto ormai pressoché esornativo: altro vento soffiava sull’Europa, altri talenti stavano emergendo, altri gusti si stavano affermando, e la ricerca dei limiti estremi del virtuosismo non interessava più si tanto. Ed anche se Alkan troverà un inaspettato epigono, ed un ultimo estimatore in Ferruccio Busoni – il primo ad eseguire in pubblico gli Studi op. 76 - la Storia si era di fatto già dimenticata di lui.
A questa singolare figura di pianista-compositore, caduta in un lungo oblio che solo in anni recenti si sta poco alla volta recuperando (è attiva una Alkan-Society, le pubblicazioni discografiche a lui dedicate si stanno moltiplicando, in Francia è da poco è uscita per il bicentenario della nascita la prima monografia a lui interamente dedicata, a firma di B.François-Sappey e F. Luguenot) la Fondazione Bru-Zane / Centre de musique romantique française dedica nel suo Palazzetto veneziano un’intero Festival dal sottotitolo “Il pianoforte visionario” , rassegna che prevede dieci concerti (di cui uno al piano-pédalier, protagonista Roberto Prosseda) destinata a  concludersi il prossimo 23 ottobre; si tratta peraltro del nucleo centrale di un centinaio di appuntamenti musicali distribuiti un po’ per tutta l’Europa e sempre promossi dalla Fondazione.
La rassegna veneziana ha preso le mosse sabato 28 settembre con un concerto serale nel corso del quale il pianista Giovanni Bellucci ha mostrato il lato più suo estroverso, quello cioè di un pianismo impavido ed estremo, consegnando alcune composizioni risalenti al primo periodo della carriera di Alkan: le “Variations sur Anna Bolena de Donizetti” tratte dai ‘Six Morceau caractéristiques” del 1834, gli impegnativi “Trois études de bravoure” (Mouvemente de valse, Moderato quasi minuetto, Prestissimo)  del 1837,  e le luminose  “Variations quasi-fantaisie sur une barcarolle napolitaine”  pubblicate a Londra nel 1834. Passando a due contemporanei ed amici di Alkan, e rimanendo nel tema base dato al concerto - Il pianoforte virtuoso -  Bellucci ha eseguito con tocco raffinato e perlaceo il scintillante “Souvenir de Paganini” di Chopin, pubblicato postumo nel 1881. Infine ha affrontato tre sfolgoranti lavori di Liszt: la trascrizione/perifrasi di  “Am stillen Herd”, il fiero canto di  Walther von Stolzing dal I° atto di "Die Meistersinger von Nürnberg” di Wagner, e due celebri reminescenze verdiane, “Rigoletto, paraphrase de concert” – la più nota ed amata delle ‘Troi Paraphrases de concert’ del 1859 - e la meno eseguita “Miserere du Trovatore”.  E come generoso bis, pur dopo tanto defatigante cammino, la “Rapsodia ungherese” in si bemolle maggiore, ancora di Liszt. La tecnica e lo stile dell’artista  romano – doti nelle quale ci piace scorgere un’eco del compianto Lazar Berman, uno dei suoi maestri – sono indiscutibili, e hanno conquistato senza riserve il pubblico del Palazzetto veneziano. Ci piace ricordare, tra l’altro, che Bellucci è stato inserito dalla prestigiosa rivista Diapason tra i dieci più autorevoli esecutori lisztiani, nel campo delle registrazioni discografiche, per le sue incisioni delle parafrasi da Verdi e Bellini. Unico italiano, con il grande Aldo Ciccolini, accanto a nomi storici quali quelli di Cziffra, Kempff, Arrau, Argerich. Chapeau!
Il concerto seguente - domenica 29 – era del tutto dedicato ad Alkan, ed ha visto il francese Pascal Amoyel eseguire al piano in apertura la dolcissima e sognante “Barcarolle” op. 65 n. 6 (tarda raccolta intitolata “Troisième recueil de chants”), e poi con l’ausilio del finissimo violoncello di Emmanuelle Bertrand l’interessante “Sonata de concert” op. 47 in in mi maggiore, lavoro di grande respiro del 1857 diviso nei quattro canonici movimenti (Allegro molto/Allegrettino/Adagio/Finale alla saltarella-Prestissimo). Ma il pezzo più intrigante di questo secondo appuntamento musicale era senz’altro la “Grande Sonate pour piano «Les Quatre Âges»” op. 33, pubblicata nel 1847 e dedicata da Charles-Valentin al padre Alkan Morhange. L’ampio lavoro è composto da quattro movimenti che intendo descrivere altrettante fasi della vita dell’uomo, con sottotitoli vagamente spiritosi: 20 ans. Très vite / 30 ans (Quasi-Faust). Assez vite / 40 ans (Un heureux ménage). Lentement / 50 ans (Prométhée enchaîné). Extrêmement lent. E’ curioso che, dovendo seguire un itinerario che parte da un esordio impetuoso – due brani che vogliono descrivere musicalmente la forza dei vent’anni e trent’anni – si intuisce declinare man mano la vitalità iniziale, magari per rifugiarsi in una serena pace familiare («Un felice matrimonio»),  di modo che l’ultimo movimento intitolato ironicamente «Prometeo incatenato» deve forzatamente presentarsi non con il consueto ‘allegro’, ‘presto’ o ‘vivace’, bensì’ con un ‘estremamente lento’: un mesto incedere dell’esecutore sui toni gravi della tastiera, disegnando il malinconico degradare delle forze vitali. Un capolavoro poco noto ma senz’altro coinvolgente, che ha trovato un commentatore ideale in Amoyel, valido interprete del repertorio ottocentesco con alle spalle interessanti incisioni di Liszt, Grieg, Chopin, Scriabin e naturalmente di Alkan, di cui ha da poco inciso per l’etichetta La Dolce Volta un CD contenente anche questa sonata.